Socrate docet… anche a distanza di anni (470 a.c. – 399 a.c.)

Scuola-di-Atene-Socrate-Raffaello

Scuola-di-Atene-Socrate-Raffaello

Nell’antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza. Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse:

– Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?

– Un momento – rispose Socrate. – Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci.

– I tre setacci?

– Ma sì, – continuò Socrate. – Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Lo chiamo il test dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è vero?

– No… ne ho solo sentito parlare…

– Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di buono?

– Ah no! Al contrario

– Dunque, – continuò Socrate, – vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell’utilità. E’ utile che io sappia cosa mi avrebbe fatto questo amico?

– No, davvero.

– Allora, – concluse Socrate, – quello che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile; perché volevi dirmelo?

Se ciascuno di noi potesse meditare e metter in pratica questo piccolo test… forse il mondo sarebbe migliore.

Il Palloncino Rosso

Opera di Banksy - Il palloncino rosso

Opera di Banksy – Il palloncino rosso

Quando ero piccola mio padre mi comprava sempre un palloncino quando andavamo alle fiere. Di solito riuscivo a portarlo sino a casa, ma a volte no.

Quando hai tre o 4 anni ti senti invincibile, sei al centro di ogni tuo pensiero, il tuo modo inizia e finsce e con te e pensi che tutto ti orbiti intorno.

I tuoi genitori ti hanno comprato un palloncino rosso, un oggetto splendido e magico ai tuoi occhi… “Come fa a volare?” pensi “Quelli che mi gonfia mamma a casa non vanno in alto”.

“Tienilo stretto sennò vola via” continua a dire tuo padre ma tu sei così estasiata da questa magia che la tua mano lentamente molla la presa, e così il palloncino vola via, e tu, impotente, con il braccio teso nella speranza di raggiungerlo, rimani immobile con il cuore gonfio di lacrime.

“Noooo…. non andare via”

Questo è stato il mio primo grande trauma infantile, metafora della della mia vita da li in avanti, quella sensazione di impotenza, di tradimento e di abbandono che continuo a portarmi dentro.

E allora vorrei fare come Eva, la protagonista del libro “Il volo del palloncino rosso”di Monica Joris  che trova un modo per liberarsi delle cose che non la fanno stare bene con sè stessa.

Da un cestino di palloncini, ne sceglie uno, di colore rosso. Soffiandoci dentro, convinta che il suo fiato sia più leggero dell’aria, immette tutte le cose che vuole buttare via, lega stretto l’estremità con il nastro che aveva tra i capelli e lo libera nell’aria. Eva gli ha affidato una missione speciale, deve portare via tutto, ma proprio tutto ciò che a lei non va, glielo ha inserito nella pancia, attraverso il suo fiato e, prima di liberarlo in cielo, glielo ha proprio detto: “Via, vai via”.

 “Il volo del palloncino rosso”di Monica Joris

“Il volo del palloncino rosso”di Monica Joris

Fancazzismo ed elogio dell’ozio

“Il mondo soffre per colpa dell’intolleranza, del bigottismo e per l’errata convinzione che ogni azione energica sia lodevole anche se male indirizzata; mentre la nostra società moderna, così complessa, ha bisogno di riflettere, di mettere in discussione i dogmi”.

Bertrand Russel (1872-1970) tratto da “Elogio dell’Ozio”

Io  sono certamente un soggetto vulcanico e ipertattivo.  La mia vita è organizzata, incastrata, pressata tra un impegno e l’altro al punto da programmare anche quando andare al bagno (oggi posso farla tra la riunione delle 3 e quella delle 4). Un percorso di vita difficile che spesso sfocia nell’isteria, nella rabbia e, in modo contradditorio,  nell’insoddisfazione.

Pertanto, quando non sono impegnata ad essere un animale sociale attivo e produttivo come la formica laborosa, scivolo inesorabilmente nell’oblio dell’ozio, e ascolto il canto della cicala.

l termine ozio (derivato dal latino otium) indica un’occupazione principalmente votata alla ricerca intellettuale ed è contrapposto a negotium, termine che indica occuparsi (più per necessità che per scelta) dei propri affari.

Ma cos’è l’ozio per me?

Prendermi del tempo per non fare.

Quando “non fai” puoi riflettere, pensare, cambiare mille volte idea senza la preoccupazione di dover produrre un risultutato.

Ecco cosa volevano dire gli antichi con l’espressione “la notte porta consiglio”: quando per una forza superiore gli occhi non vogliono chiudersi, e  si è costretti a rimanere forzatamenti svegli ma inerti, in quel momento l’ozio è alla sua massima espressione.

Ho faticato molto a trovare illustri personaggi che avessero scritto qualcosa su questa mia  idea di ozio. Scrivere del fare, del produrre, del costruire è facile, ma scrivere del non fare è una cosa pericolosa!

Essere liberi di fare, o di non fare, rende più produttivi che inseguire l’ostinata ricerca del risultato. Questo è il mio pensiero.

Con questo non voglio dire che dobbiamo passare le nostre giornate svaccati sul divano in preda ad uno zapping compulsivo tra una montagna di canali spazzatura, ma, come diceva già Stevenson nel 1877

“Dobbiamo rivalutare il significato di ozio dandogli la connotazione positiva di ricerca del piacere all’interno del difficile mestiere di vivere”.

L’ozio va inteso come riflessione e contemplazione come lo intendava Seneca, nel suo “De Otio”.

Per gli antichi romani il termine otium non significava “dolce far niente”, bensì un periodo libero dagli impegni politici e civili nel quale era possibile aprirsi alla dimensione creativa. Oggi che la maggior parte della fatica manuale e di routine è eseguita dalle macchine, ci è richiesto sempre più di essere creativi e fantasiosi, di superate le rigide distinzioni tra lavoro e vita personale, razionalità ed emozione; marciamo verso un futuro in cui, grazie alla tecnologia, potremo riappropriarci del nostro spazio domestico restando in contatto con il resto del mondo. Paul Lafargue (“Il diritto alla pigrizia”,1883) muove un’aspra critica alla strana follia che si è impossessata di uomini e donne della società moderna: l’amore per il lavoro, ovvero una passione che è causa della degenerazione intellettuale tipica delle società capitalistiche, nonché generatrice di miserie individuali e sociali.

“ Sì, lo dico e lo teorizzo. Il mercato del lavoro è così cambiato che richiede creatività, flessibilità. Permette cioè di mescolare tutto. Produzione, gioco, vita privata. Io credo molto di più ad un modello di sviluppo latino che a quello anglosassone. Dove il ritmo della vita non viene sacrificato in nome della carriera. Sapete cosa rispose Napoleone quando il pittore David gli domandò in quale posa volesse essere ritratto? Sereno su un cavallo imbizzarrito, disse Bonaparte. Ecco la mia sensazione è che gli italiani siano imbizzarriti su un cavallo sereno. Cioè frenetici a vuoto…

…. L’ozio creativo è quella parte della vita che noi dobbiamo recuperare, e che le professioni della new economy ci permetteranno di esprimere. Orari flessibili, possibilità di lavorare da casa, di giorno, di notte, quando si vuole”.

(Domenico De Masi, 2000)

Chi riuscirà a fermarsi e a scendere da questo mondo in corsa?

Non siamo più abituati a stare fermi e a lasciare che il mondo ci giri intorno, non riusciamo più ad annusarlo, toccarlo ed ascoltarlo… se riusciremo a fermarci, solo allora, inizieremo a pensare.

“Tutti sono capaci di lavorare. Pochi conoscono l’arte dell’ozio”
(Alessandro Morandotti 1980)

Il miglior alleato

In un momento in cui l’anarchia regna sovrana, in cui non ci sono regole ne direttive ne schemi certi da seguire.

In un momento in cui le alleanze e le inimicizie si trasformano e si invertono in continuazione l’unica salvezza è ancorarsi fortemente ai propri principi e alle proprie regole perchè sono i migliori alleati che possiamo avere.

La coerenza con noi stessi è l’unica via di fuga dal nichilismo.

Sono fatto così

Sarà certamente capitato ad ognuno di noi, uomini e donne, almeno una volta nella vita, di sentirsi dire: “sono fatto così, non posso farci niente”

In quell’occasione non avete forse sentito la rabbia scorrervi nelle vene trovandovi di fronte ad un apparente senso di ineluttabilità senza vie di fuga?

Riflettete: quante volte lo avete subito e quanto volte lo avete provocato?

La reazione emotiva che ci conduce a rifugiarci nel “sono fatto così” altro non è che un maldestro tentativo di appianare, a nostri stessi occhi, la percezione che in quel momento abbiamo di noi che non ci piace, ma che non vogliamo correggere. E’ una scusa con noi stessi che ci permette di non risolvere una situazione usando la genetica comportamentale ad nosto vantaggio.

Quello che dovremmo dire dovrebbe assomigliare a: “ho scelto di essere così e non voglio fare nulla per cambiare questa condizione!”

Quanti di noi hanno il coraggio di esporsi con questa affermazione? Non è forse meglio rimanere sul vago e non farsi carico della responsabilità di ciò che si è scelto di essere?

Io credo di no!

Mediatore Sociale

“Quando l’uomo si è evoluto così com’è oggi, si è trovato a vivere in società allargate ed il suo cervello ha sviluppato un sistema di filtraggio delle situazioni, (…) il Subconscio, il quale non solo gli ha permesso di aumentare la sua capacità critica, ma gli ha pure concesso di dire bugie.
Le bugie sono necessarie a sopravvivere in una società che, essendo fatta di regole, deve vederle formalmente rispettate.
Se il mio capoufficio mi fosse antipatico ed io fossi privo di Subconscio, vedendolo gli sputerei in faccia, poiché il mio Super-IO se ne fregherebbe delle convenzioni e si manifesterebbe com’è in realtà. Ma entra in gioco il Subconscio e media i miei comportamenti, rendendomi capace di accogliere tutte le mattine il mio capoufficio con un ampio sorriso mentre, dentro di me, sogno il momento in cui seguirò il suo funerale.”

di Corrado Malanga tratto da “Alieni o Demoni”

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